martedì 24 febbraio 2009

UMBERTO BARDELLI - Maggiore del Genio Navale

Il presente profilo del Maggiore G.N. Umberto Bardelli può considerarsi una integrazione della sua biografia apparsa nel 2005, redatta da Andrea Lombardi e pubblicata dall'Editore "effepi" di Genova, per cui non sto a riprodurre i dati anagrafici, storici e tecnici di quell'ufficiale.
Bardelli, indubbiamente, fu il braccio esecutivo del Comandante Borghese nella "costruzione" dal nulla di una Fanteria di Marina San Marco, prima con la formazione del btg. Maestrale [poi , Barbarigo], poi con la formazione del 1° Reggimento San Marco. Il suo dinamismo, l'imperiosità dei suoi comandi, la sua oratoria dannunziana furono indispensabili per organizzare in poco tempo compagnie e battaglioni e armare diecimila uomini con quella moltitudine di sbandati creata dall'armistizio dell'8 settembre 1943. Innegabile, il fascino che emanava sui suoi uomini, sui suoi ragazzi, anche perchè quei suoi ragazzi si sentivano istintivamente affascinati dai suoi modi burberi, dalle sue parole spesso rudi e teatrali.

Ma c'era un ma. Bardelli non era un comandante nel senso vero e proprio, non aveva le caratteristiche di un Master and Commander nel significato che si dà in Marina a queste due parole. Master, capitano, lo era di sicuro per via dei suoi gradi, ma Commander proprio no, non era un condottiero che si mette a capo dei suoi uomini in battaglia, che si comporta verso di loro come un padre responsabile e non li manda al macello inutilmente.

D'altra parte, la sua vita in Marina era stata quasi sempre trascorsa nel chiuso di un locale macchine di un sommergibile perfettamente descritto nella sua biografia, illuminato solo da lampade elettriche, nel frastuono dei motori diesel, completamente estraneo alle altre attività di bordo, responsabile solo del buon funzionamento delle macchine a lui affidate e dell'attività dei cinque o sei uomini racchiusi assieme a lui in quegli stretti locali a temperature tropicali.
Anche Borghese, sul suo Scirè, era racchiuso in quella scatola di sardine che era [ed è ancora] un sommergibile. Ma quarantotto uomini dipendevano solo da lui, dalle sue decisioni e la loro vita, il loro destino erano solo nelle sue mani: lui, Borghese, era il vero Commander, l'unico vero Master and Commander.

Bardelli, abituato a quella vita e a quel frastuono, non si esprimeva con toni normali, ma istintivamente parlava ad alta voce o urlava e i suoi scatti d'ira, come è noto e come è confermato
nella sua biografia, erano incontrollabili.
Nessuno ha mai sentito Borghese urlare o agitarsi. La parte finale della motivazione della sua Medaglia d'Oro così recita:
"...Durante la navigazione di ritorno, sventava la rinnovata caccia del nemico e, nonostante le difficilissime condizioni di assetto in cui era venuto a trovarsi il sommergibile, padroneggiava la situazione, per porre in salvo l'unità e il suo equipaggio...".

Due uomini, due amici e compagni di corso, così diversi tra loro.
Ozegna è stata la prima e ultima esperienza di fuoco di Bardelli.
* * *

Bardelli è stato onorato come un eroe nel Campo della Memoria di Nettuno, ricordato da tutti [oratori e giornalisti compresi] come il comandante del btg. Barbarigo, tumulato tra i suoi marò caduti in battaglia. Niente di più falso, come si evince anche dalla sua biografia.
Lui accompagnò soltanto il battaglione a Roma ai primi di marzo e poi, con il comandante in 2ª del Barbarigo, capitano di corvetta Giuseppe Vallauri, si recò al comando tedesco a Sermoneta dal generale Hildebrand e dal colonnello von Schellerer per mettere a loro disposizione gli uomini del battaglione. Poi il 3 marzo se ne tornò a Roma lasciando a Vallauri il compito di eseguire le disposizioni del Comando Tedesco e da quel momento solo Vallauri fu il vero comandante di quei ragazzi sui campi di battaglia.
A Roma, come accenna la sua biografia, ci sarebbe stata la parentesi di Clara Calamai, nota e bellissima attrice, la cui notizia, proveniente dal tenente di vascello comandante il Comando Tappa della Decima in Roma, arrivò anche alla base dei Mezzi d'Assalto di Fiumicino e perfino a La Spezia. Erano solo chiacchiere? Io propendo per questa ipotesi, non ravvisando in Bardelli la figura di un latin lover. Ma come mai, neanche due mesi dopo, quelle chiacchiere erano arrivate perfino ai piedi del Gran Paradiso nella base dei partigiani di Piero Piero, se non fossero state riportate da quei marò del Barbarigo da lui catturati ad Ozegna? E che necessità c'è stata di riprenderle nella biografia?

Da Roma, il 4 aprile tornò a La Spezia [lo vidi tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile] per cominciarea organizzare gli altri due battaglioni che avrebbero dovuto costituire il 1° reggimento San Marco [Barbarigo, Lupo, N.P.] e il 27 aprile Bardelli lasciò il Barbarigo, il cui comando fu assunto ufficialmente e interamente da Vallauri.

Il 5 maggio, al seguito del ten. col. Luigi Carallo, comandante della costituenda divisione Decima in ispezione al fronte, fu visto per un giorno presso il lago di Fogliano e un'altra volta [non ricordo più la data] in accompagnamento del Comandante Borghese [che di visite al fronte ne fece due].

Il 28 maggio Bardelli era a Roma in conseguenza della ritirata dal fronte dell'Armata tedesca, per cercare di tamponare lo sbandamento dei resti del Barbarigo sparpagliati per ogni dove, abbandonati dai tedeschi in ritirata e privi di qualsiasi mezzo di trasporto.
Questa storia è nota e bisogna riconoscere che Bardelli tirò fuori tutta la sua grinta durante quei cinque giorni per imporre al generale tedesco Mältzer comandante la piazza di Roma il rispetto dovuto a quei ragazzi laceri, che avevano pur combattuto a fianco dei soldati germanici.
Io mi trovai lungo la via Cassia nel pomeriggio del giorno 4 giugno e incontrai una diecina di quei marò con il s. ten. di vasc. Giulio Cencetti, letteralmente laceri e sfiniti e Cencetti ferito. L'unico mezzo di trasporto in loro possesso era un carro agricolo trascinato da due buoi. L'avevano rubato in una cascina abbandonata, ma Cencetti aveva voluto lasciare un biglietto di ... ricevuta, con l'indirizzo della Decima a La Spezia.

Nel corso delle mie visite a Ozegna mi sono ricordato di loro, perchè ho pensato che forse uno di quei ragazzi scampati dall'inferno di Nettuno era venuto a morire sulla piazza Umbertp I di quel paesino, senza sapere perchè e per colpa di un irresponsabile.
Ecco perchè non riesco a capire tutto quel fanatismo di alcuni reduci del Barbarigo verso la figura di quel "Leggendario Comandante", fanatismo che ho potuto osservare anche al Campo della Memoria quando gli oratori di turno hanno rievocato solo Bardelli, dimenticandosi completamente che sul campo di battaglia di Anzio e Nettuno il loro vero comandante si chiamava Vallauri; e che ad Anzio e Nettuno c'era pure il Gruppo di Artiglieria San Giorgio, al comando del ten. di vasc. Renato Carnevale.
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lunedì 23 febbraio 2009

sabato 21 febbraio 2009

Ozegna 8 luglio 1944

E' la storia di una inutile strage avvenuta in pochi minuti nella stretta piazza di Ozegna, una piccola località del Canavese, verificatasi nel pomeriggio dell'8 luglio 1944. Una sessantina di uomini dei battaglioni "Barbarigo" e "Sagittario" della X Flottiglia MAS, al comando del maggiore del Genio Navale Umberto Bardelli, si scontrarono improvvisamente con una ventina di partigiani al comando del loro capo Piero Urati, nome di copertura "Piero Piero", dopo essere stati per una ventina di minuti mescolati tra loro in amichevoli conversari. Improvvisamente "Piero Piero", con un balzo si allontanò da Bardelli e gli urlò: "Comandante, siete circondati...arrendetevi!", ma Bardelli, preso di sorpresa, gli replicò con un altro urlo: "Barbarigo non si arrende!...", ma, in un incontrollato raptus di nervi, purtroppo soggiunse: "FUOCO!".
Morirono così undici uomini della Decima (tra cui Bardelli), tre partigiani e un civile. Una dozzizna furono i feriti, tra cui "Piero Piero". Tutti i marò con i loro ufficiali e sottufficiali furono fatti prigionieri.
La mia intenzione è stata quella di ricostruire l'autentico svolgimento dei fatti, "analizzando minutamente con lo stile di un romanzo giallo e la precisione di una perizia ingegneristica" (come è così scritto nella recensione apparsa sulla rivista "STORIA MILITARE") le varie versioni, spesso contraddittorie, sino ad oggi fornite".
Questa intenzione ha portato a stravolgere la vulgata tuttora in atto che vede Bardelli vittima di un vile, ignobile agguato partigiano e a chiedersi cosa sarebbe successo se in quella breve sparatoria Bardelli fosse rimasto illeso o soltanto ferito, fatto prigioniero da "Piero Piero" assieme alla cinquantina di marò catturati e restituiti al Comando della Decima dopo solo una settimana.

sabato 14 febbraio 2009

sabato 7 febbraio 2009

lo scudetto

LA BATTAGLIA DAL PRIMAR

Nell'anno 1931 il Maestro Luigi Longhi, cultore della storia di Bologna e del suo dialetto, nonché umorista di natura, pensò bene di trarre dalle vicende storiche testè riportate un "poemetto medioevale", anzi, un "Poemètt Medioevàl", dal titolo "LA BATTAGLIA DAL PRIMÁR" con il sottotitolo "(Vittoria di Bulgnis contr'i Venezian).
Ne nacque un divertente poemetto in versi dialettali, illustrato da Umberto Bonfiglioli con bellissime caricature dei guerrieri bolognesi e stampato in quel 1931 dalla Tipografia Ettore Neri di Bologna al prezzo di £. 5.
Pur mettendola in ridere, il Maestro Longhi è rimasto strettamente fedele alla storia come è stata narrata da Fra' Leandro Alberti e dal tenente di vascello Fulco Tosti di Valminuta, ripetutamente da lui citati.
Gli strani e buffi personaggi che fanno parte dell' "esercito del Popolo" e che sembrano partoriti dalla fervida fantasia del Longhi erano in realtà persone del suo tempo (e anche del mio) di cui il Maestro si divertiva a trarne immagini caricaturali.
Si veda, come esempio, la 16ª sestina nella quale si parla dei guerrieri venuti a Bologna da Corticella, "tutti messi bene e forti come giganti". Si può ben ricordare che ai tempi del maestro Longhi la squadra di tiro alla fune del Dopolavoro di Corticella rimase Campione d'Italia per diversi anni e gli anziani del luogo ricordano ancora con orgoglio i due "piloni", Dovesi e Garulli, che, in allenamento, loro due soli gareggiavano contro gli altri otto. Il figlio di Garulli, poi, fu per anni il Campione della Virtus per il lancio del peso, di cui detenne anche il record italiano.
Così dicasi per gli altri "guerrieri del popolo", caricature di uomini reali presi a modello per i loro tratti somatici o per i loro vizi o virtù. Solo i soprannomi furono inventati dall' Autore.

A conferma del valore del Longhi in quel campo dialettale, si citano anche altre pubblicazioni di successo, come "Un turinèis a Bulògna" (sestine con illustrazioni di A.Cervellati), "Bulògna, me a t'voi bèin!" e "La Famèja Bulgnèisa" (caricature in versi).